Gianni Depaoli
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INTERVISTA FRANCO VASSIA  
GIANNI DEPAOLI: DENUNCE, MOTIVAZIONI E PROVOCAZIONI SULL’ALTARE DELL’ARTE   

La sensibilità e l’urgenza civile nelle mani di un artista diventano straordinari conduttori di calore per denunciare i mali, le incongruenze, i misfatti e i crimini della società... 
Credo sia un modo, se non l’unico, per potersi far sentire, creare visibilità a un’idea, far decollare un pensiero. Ci sono molti modi per farlo ma devo dire che, rispetto alle proposte profondamente concettuali, preferisco dar fiato alla sostanza, a un equilibrio di forme e contenuti, forse anche semplici, ma che siano fruibili a tutti. Il degrado ambientale, le mattanze dei delfini e delle foche, lo sterminio delle balene, il finning, hanno sempre rappresentato nel mio inconscio il male assolut non ho mai sopportato gli abusi e le violenze dell’uomo sugli animali e sull’ambiente. Sono convinto che - anche se non solo - proprio da lì si siano innescati quei sistemi esplosivi e i virus che hanno generato numerose guerre sociali ed economiche.

Motivazioni sicuramente condivisibili, soprattutto in un periodo dove l’indifferenza e la superficialità la fanno da padrone. L’impegno sociale e civile, almeno qui da noi, ha sempre tenuto lontane le grandi masse. Non credi che, proprio per questo, il tuo sia un messaggio destinato a una certa nicchia?
Per arrivare alle masse, oggi è necessario arrivare al mezzo televisivo.E’ triste ma è così! La gente, sia per la crisi ma soprattutto per una forma di assuefazione, non legge quasi più. Io ho avuto la fortuna di trovare sulla mia strada persone molto attente ma soprattutto capaci di ascoltare. Numerosi musei di Scienze, associazioni quali Greenpeace, Lega Ambiente, Shark Alliance e Verdeacqua dell’Acquario Civico di Milano, mi hanno supportato e incentivato fin da subito.

Ogni storia ha un inizio. Qual è stato il tuo?
Tutto è iniziato nel settembre del 2007 quando, un direttore coraggioso come Marco Valle del Museo E. Caffi, dopo aver visto un mio progetto ancora allo stato embrionale, decise di dedicarmi un’intera mostra: “Mare Nero”. Quel numero esiguo di opere - appena sette -hanno rappresentato la mia prima uscita pubblica. Da quell’esordio piuttosto fortunato, partì un tam tam che coinvolse molti altri musei. In questi giorni, le mie “Constatazioni”- così le chiamo e non denunce, in quanto situazioni da sempre sotto gli occhi di tutti - sono esposte in molti musei e luoghi di eventi. Sono riuscite a incuriosire e infine ad approdare al primo museo d’Arte che mi ha accolto nella Galleria d’Arte Moderna di Genova, diretta da Maria Flora Giubilei con la quale è nata un’idea sicuramente bizzarra: quella di “inquinare” il museo abbinando opere dissacranti, quali le mie, aicapolavori dell’esposizione. Un azzardo che porterà alla realizzazione di un intero catalogo sommato a una proroga di altri tre mesi e a una pagina su “Da Genova per Genova”, un libro di Andrea Ranieri, assessore alla cultura del capoluogo ligure. Una grande soddisfazione... 

Un lavoro, e un impegno, che necessitano di un’ampia documentazione e di continui studi...
Per la documentazione primaria ed embrionale mi sono sempre affidato al web. Un ruolo determinante lo ha svolto sicuramente la Biblioteca Civica di Torino con la fornitura degli articoli di quotidiani che maggiormente mi interessavano. Il lato però più inquietante per creare le mie opere è quello di vivere quegli eventi in modo diretto. In presa diretta - ma soprattutto nei filmati sparsi della rete - è possibile rendersi conto di quanta crudeltà e quanta malvagità siano presenti nelle mattanze di delfini, delle foche, delle balene, degli squali... Gli incubi successivi alle visioni che si insinuano nella mente sono il propellente per creare opere struggenti e spesso vicine alla realtà. Il fatto più significativo si è verificato ad Antibes, nel momento in cui stavo montando la mostra “Maree Noire” nell’anniversario del naufragio dell’Amoco Cadiz in Bretagna. Mark, la persona che era stata assegnata per aiutarmi, mi chiese se poteva allontanarsi perché, il dramma presente nelle opere, lo riportava a quando aveva 8 anni, quando suo padre lo portava sulla spiaggia a ripulire i gabbiani ricoperti di catrame. E’ stato in quel momento che ho capito che il mio lavoro parlava alla gente. 

Qual è il motivo che ti ha allontanato dalle denunce ambientali per passare ai lavori con materiali organici?
Non è stato un abbandono, anzi... Il progetto esposto alla GAM di Genova continua a vivere e viene esposto ogni qualvolta venga richiesto, soprattutto per scopi didattici. L’utilizzo del materiale organico non è altro che la continuazione del mio pensiero iniziale. Con l’esposizione di quegli scarti cerco di sensibilizzare nel pubblico il rispetto del mare tramite la biodiversità e l’ecosostenibilità, valori importanti che ho imparato e assorbito durante un’intera vita di lavoro. L’utilizzo dello scarto organico ne rappresenta la nobilitazione. Privato della parte edibile - quella in grado di nutrire - è destinato alla discarica. Con il mio intervento cerco di ridarne la giusta dignità e, nello stesso tempo, a tramutarlo in elemento artistico e come messaggio universale. Opere quali “Prede e Predatori”, esposte in permanenza all’Ambasciata Italiana a Montecarlo, continuano a veicolare il mio messaggio primario, quello delle prime opere di denuncia sulla pesca indiscriminata. Con queste credenziali, nel 2011 è nato il primo progetto “Vis, Fao 27”, presentato ad Amsterdam e a Utrecht e, tra l’altro, sottolineato anche da un articolo su un quotidiano olandese che rimarcava le buone pratiche di pesca e il rispetto marino del suo popolo.

Parlando del rispetto degli animali, non trovi esista una contraddizione se, a farlo e a usarlo per le sue opere, è il discendente di una stirpe di operatori impegnati da ben tre generazioni nel settore ittico?
Nel modo più assoluto! L’utilizzo del pesce per la mia espressione, è dovuto proprio alla celebrazione di un essere che da sempre nutre i popoli, che conosco da quando sono nato e che ho imparato a rispettare grazie agli insegnamenti dei miei genitori e dei pescatori di tutto il mondo che ho conosciuto e frequentato. Mi hanno insegnato che il mare e i suoi abitanti vanno rispettati, bandendo in ogni modo l’inquinamento e la pesca indiscriminata. Quello che oggi viaggia sulla bocca di tutti, con paroloni come ecosostenibilità e biodiversità, persone consapevoli le hanno sempre conosciute e praticate con nomi meno altisonanti di “rispetto del mare e fermibiologogici”. Una lezione che ho imparato e che trasmesso alla gente, sia che fossero potenziali clienti istituzionali, sia nelle scuole. E’ necessario dare al mare il tempo di ripopolarsi in maniera razionale e pretendere il prodotto solo dei mesi prolifici, evitando con estrema attenzione le specie in via d’estinzione e di dubbia o difficoltosa reperibilità. Per quanto riguarda l’utilizzo di esseri viventi ammetto che possa esistere una diversa ottica di lettura ma, come ben sappiamo, oltre il 70% della popolazione da sempre si ciba di animali. La cosa importante credo sia non abusarne ma, soprattutto, evitare sacrifici inutili. Uno dei primi esempi antispreco è proprio il risparmio! Nell’atto di moltiplicare i pani e i pesci, Gesù non disse ai pescatori di svuotare il mare e di buttare quel che sarebbe avanzato. Prese i due soli pesci disponibili e li moltiplicò in base alle necessità. Lasciando da parte le utopie, dobbiamo convenire che lo spreco operato oggi per avere prodotti in eccessivo esubero o fuori stagione porta soltanto all’impoverimento delle scorte. 

Torniamo alla parte più artistica... Negli ultimi tempi hai praticato una conversione creativa che ti ha portato a percorrere strade parallele e quasi astratte, con punti di contatto - tutto sommato alquanto inusuali - con la forma disegnata...
E’ un progetto al quale sto lavorando da circa due anni. Oggi penso di aver raggiunto un risultato piuttosto soddisfacente. Il 2014 dovrebbe vedere la nascita di Teuthoidea, un’ulteriore sfida innovativa dove utilizzo pelli di calamari e seppie con interventi pittorici vergati con il loro inchiostro. Un lavoro che enfatizza la spettacolarità della natura, così perfetta nel creare tessuti tanto meravigliosi. Un progetto nel quale mi limito a creare forme astratte e fantastiche che quasi inconsciamente - utilizzando bisturi e attrezzi medici - prendono formano davanti a me. Naturalmente, una volta elaborato questo processo, si deve procedere alla conservazione. Un altro aspetto piuttosto complicato ma anch’esso affascinante.   

Immagino che anche la conservazione dei pesci implichi non pochi problemi... 
La cosa più importante è sicuramente la lavorazione. E’ importantissima, perché molte pelli, come quella dei cefalopodi, sono difficilissime da utlizzare poiché delicatissime e quasi impercettibili al tatto. Inoltre non tutti i pesci della stessa specie vanno bene, spesso dipende dalla provenienza: ogni mare ha specie similari ma soltanto alcune hanno componenti organoletticamente perfette. Ho impiegato quasi cinque anni per ottenere un risultato quasi... perfetto. Un processo che serve a conservare il prodotto ma soprattutto suo il colore, le sfumature del derma. I conservanti tradizionali per esposizione sono essenzialmente la formalina e l’alcool: liquidi in grado di conservare il prodotto ma non il colore che tende a svanire. Il mio trattamento prevede un tempo di 40 giorni con l’utilizzo di agenti particolari in grado di mantenerne le condizioni, la temperature e l’umidità fino al momento della lavorazione.   

Accanto alle forme astratte e fantastiche che crei, si insinuano anche dei sogni?
Soprattutto un essere riconosciuto nel circuito internazionale grazie a una gigantesca installazione organica shock già progettata ma che, per la preparazione, richiede oltre un anno di lavoro. Se sogno deve essere, allora vorrei esporla in un grande Museo o in una grande Fondazione. A Torino ne abbiamo alcune. I loro nomi? Neppure oso pronunciarli.          
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